SESSO

07.06.2012 13:49
Seduta ascolto il vociare dei pochi avventori, il rumore dei bicchieri. 
Dico questo come se fosse passato chissà quanto tempo, invece sta succedendo adesso.
Sorpresa della facilità con cui lo sguardo sprofonda, inizio un gioco di sguardi. 
Iniziato senza consenso, colma gli interstizi; fili di noi si tendono. 
La pelle, come una fiamma al vento, vacilla lacerandosi quasi. 
Molto sotto la superficie tutto evapora.
 
Avanziamo, lasciamo la presa; subito ci riprendiamo per un orlo del nostro lavoro di tessiture impalpabili come per salvarci a vicenda da un precipizio.   
 
Con la schiena appoggiata alla porta richiusa in fretta alle spalle, scivolo in terra.
Pura senza innocenza.
Prendimi adesso, in fretta.
Riempi la stanza dell'agro succo dei gemiti.
Ardente s'increspa, graffia l'anima, stropiccia l'incanto con brutale voglia senza pegno.
Eppure, lo so, cercherai il mio sguardo nei ricordi.
 
Di me saprai il naufragio.
Scuci tra me l'ombra, sono dea d'oscurità.
Ardo nei tuoi morsi; divori le vampe sul seno e sfrangi la mia voce.
 
Mi verso a piene mani.
 
Gracile luce della nudità frammentata.
In morsi di silenzio.
I capelli intralciano i baci. Voglio che l'assoluto mi assorba.
Torbida di sogni è l'anima sospesa.
Disalbero desideri con tutti i venti. Argino di mancamento la vita.
 
Donami rimorso. Con inganno, se vuoi.
Immagina di frusciarmi sottopelle, di colmarmi d'arsure. Ascoltami palpitare e non svegliarti ancora, ebbro di nostalgie a ritroso. in altri meno fitti pensieri. 
 
Quale trucco posso inventare perché il desiderio resti innocente?
 
Stanza trapassata da abbaini. Con dentro il sole all'orizzonte, spinto a forza, filtrato dalle tendine bianche in fasci ordinati di ricami sui muri.
Nulla ha senso in questa luce.
In una sua chiazza, schermo per nuove tracce d'ombra sui muri.
Siamo domatori del volo sciolto dei pensieri; murene, lame, solstizio della carne offerta. 
 
Un fuoco mi torce le dita.
Ci addormenteremo senza mai avere riaperto gli occhi dall'ultimo risveglio.
 
Succo di una stagione di desiderio non speso. Rivolo di lava sulla pelle. Guardiano ognuno dell'altrui languore. Confusi nella penombra che ci cresce addosso.
Il frastuono del sangue nelle vene satura i pensieri ad uno ad uno.
 
Lascio fare ad occhi chiusi.
Clamore nel silenzio accecante; morsi che sguinzagliano ebbrezze.
Eppure a tratti tutto questo pare una recita lenta. Ad occhi chiusi mi porgo, pioggia che si asciuga nell'odore dell'ombra dischiusa.
Questa porzione di vita strapiomba dove vorrei rinchiuderla, farla strisciare nei cunicoli infiniti della divinità. Mare di dimenticanza, tremante sorso.
 
Dita gelate che tra le foglie vorrebbero spillare il succo delle bacche incastonate nell'ombra, e le sciupano per voluttuoso capriccio.
 
Oscuro il mondo di palpebre tremanti, gioiosa del sentirmi colmare d’ondate d’ansia nella mia ingordigia. Sono meno pura per questo? L'anima passa. In schegge.
Sono forse già un’altra che mi guarda, in apparenza quieta. Festante in canto feroce.
 
Bruciano le labbra mentre rincorro la mia stessa mancanza. 
La lingua acceca; come una lama accostata alla mola che l'affila, e sparpaglia scintille che infliggono bruciori come stelle cadenti, lasciando vapori di luce.
 
Inebetita, sospesa. Il piacere cresce lento, si allunga, dirama, si inerpica e oscilla sul filo che tende, si impenna in ventate più urgenti, e poi finge un placarsi sornione, e si tende di nuovo, ed ancora. Mi strema.
Grumi di fiato rappreso e riarso che sfumano in labili suoni.
 
Sono cento le vite che mi scioglie dentro, sciame d'insetti.
Il corpo fatto reliquia. Mi pare di nascere a stormi.
Riacciuffa i sensi allo sbando li scaglia lontano.
Una spirale di un solo senso, ingigantito dal torpore che trapassa, e si esalta e rimbalza sulle pareti. S'intinge furente, in bruciori e fame d'anima. 
Male di costole sporgenti quando un ansimo ritira dentro sé la carne per fare posto al nulla, male del sapore sferragliante dei sensi masticati con audacia, pari solo al tracimare esausto nelle vene del sudore, male dei liquori nuovi che i corpi spremono febbrili
in gocce velenose e dense da portarsi dentro, male delle dita come ami, male del ventre che ristagna per prolungare supplizi di piacere, che si adagia e si frantuma in esili e crudeli prigionie, male delle cosce spalancate al grido dell'anima sfibrata, perché sia impossibile sentire il silenzio di cui si è fatti, male delle natiche graffiate, male di notte eguale.
 
Naviga intero il mare che sono.
Grandina un fuoco, acceca, infonde tremore, una lastra di vetro nel corpo in frantumi, un barbaglio, un respiro sospeso, i polmoni passati da aghi roventi, voce che non riconosco. E mi inargento da dentro, mi sento mancare dall'inizio dell'eternità, dove godere è dimenticarsi di esistere.
 
Rubargli la vita, farmene scrigno.
 
Un ansimo ancora che pesa sul petto. E tutto scolora.
 
I lampioni, dalla strada proiettano luci ed ombre, mi guarda, segue con gli occhi le tracce degli spasmi d'urgenza, l'ansia quasi religiosa lasciata nei graffi.
Di nuovo innocente.
 
Spettatrice stupefatta. Nell'incenso di sguardi gioco alla svendita del pudore. E’ come un sonno che manchi da sempre e straripi, ancora rimandato per meglio goderne.
Voglio peccare senza perdono. Taccio e mi ode.
 
Vorrei sussurrargli: impediscimi di desiderare ancora.
 
Non ho occhi abbastanza da chiudere su tutto.
 
Il fasto si scompone in preghiera, preludio al nulla assoluto.
Il desiderio non e fatto per soddisfarlo.
 
So di avere vissuto nel sonno, in attesa di un istante di veglia. 
Il cuore precipita e cade. 
Tutto è spasimo, l’ultimo sorso scorre e si versa sulla vita che resta, ed un velo ricopre i pensieri.
 
Eccoci: sparsi nel vuoto. Poltiglia di illusioni, grumo su una infinita superficie vuota.

La certezza inaccettabile che il tempo sia finito e non valga la pena desiderarne la continuazione.