LINGUAGGIO VERBALE O FISICO ?

16.06.2012 18:05
Il mondo è incapsulato nel linguaggio
Diceva Wittgenstein:
“I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
C’è realmente soltanto un’anima del mondo, che io di preferenza chiamo la mia anima, e in base alla quale solamente concepisco le anime degli altri.
La precedente osservazione dà la chiave per decidere in che misura il solipsismo sia una verità.”
Il linguaggio è fatto di segni e di significati. Si norma il segno dovrebbe essere portatore di significato, e quindi avere una funzione. La funzione spetta al significato.
Bizzarro come non ci si renda conto che oramai (e direi irrevocabilmente) il segno abbia assunto una vita propria, e non sia portatore di nulla, se non di se stesso. Il significato è diventato un pretesto per esprimere il segno, e posto (subito dopo che il segno è stato tracciato) in una sorta di limbo etico e culturale, dal quale pare impossibile recuperarlo.
Mentre quindi la semantica svapora, la semiologia diviene il fulcro della nostra comunicazione.
McLuhan affermava che è importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio"
Questo è vero in qualunque direzione si guardi.
La funzione viene evocata, ma ormai non è più importante che sia presente.
Mi domando quando accadrà che non sia nemmeno più necessario evocare la funzione, ma i segni diventino infine e completamente fini a se stessi. Nell’arte è già così da tempo, per quanto una reminiscenza difficilmente catalogabile, probabilmente legata alle consuetudini acquisite nel corso della Storia, quasi faccia sentire in obbligo di fornire una interpretazione a una accozzaglia di segni evidentemente casuali. In questo senso, già pretendere di allegare un titolo a un’opera costituisce un raggiro più o meno inconscio.
Moltissimi oggetti che utilizziamo normalmente dichiarano di possedere una funzione completamente diversa da quella effettiva. Pensiamo a quegli oggetti che servono a “porsi” socialmente, gli status symbol. Oppure a quegli oggetti per nulla funzionali, per nulla ergonomici, per nulla razionali, e che pure vengono realizzati per motivi che nulla hanno a che fare con il loro utilizzo.
Tutto questo è vero anche nell’ambito del pensiero. La filosofia contemporanea è diventata un gioco di parole, ed in effetti non ha più nulla da dire. Ogni proposta culturale è mossa da ragioni eminentemente economiche. Lo studio della Storia è un francobollo appiccicato sul corso di ogni istruzione, ma è palese che la sua presenza consente solo di dire che lo studio della Storia “esiste”, senza che la sua esistenza produca il benché minimo frutto. Ma è solo un esempio.
I corsi scolastici e universitari sono il rispetto di una regola svuotata del suo senso originario. Così come l’arte si è svincolata dalla rappresentazione, affidando il significato alla suggestione dell’involucro, non vedo perché non si possa pensare che possa accadere la stessa cosa in ogni ambito. Che senso ha insistere sul concetto di istruzione? E’ evidente che si tratta di un “pro forma”. Qualcosa di difficilmente catalogabile continua a persuaderci che sia necessario dare un “titolo” all’assenza di contenuto. Per questo mi piace usare un termine tutto mio: concetti da parata. Una illusione ottica da sbandierare per salvare le apparenza. Scusate il gioco di parole involontario.

Tanto vale completare la dissoluzione, credo. Se non altro non ci saranno più alibi da giustificare. O no?